Carabosse è uno dei nomi che la fata madrina “malevola” de La Bella Addormentata, all’inizio non meglio specificata, ha preso con il tempo. Per i fratelli Grimm la fata non invitata è la tredicesima, per Perrault è l’ottava. Delia Sherman, scrittrice di fantasy e fantascienza ha “riletto” questa cattiva madrina nel modo che segue.
CARABOSSE, di Delia Sherman (trad. M.G. Di Rienzo)
C’erano 12 fate alla festa. Mai tredici.
Il giorno in cui la regina partorì, il re mandò fuori dodici messaggeri a cavallo, uno per ognuna di noi, ad implorarci di benedirla, di darle un nome, di incoronarla con il nostro favore.
Così, siamo andate.
C’era un banchetto – be’, era doveroso che ci fosse, con piatti e bicchieri ingioiellati, la tariffa usuale per fungere da fate madrine.
Le mie sorelle fornirono i soliti doni: Bellezza. Ingegno. Voce dolce. Bontà (ovviamente). Buon gusto (questa è stata Marta, abbagliata dalle coppe incastonate di preziosi e dalla veste della regina). Grazia. Pazienza. Orecchio musicale. Destrezza (per aiutarla ad apprendere le abilità da principesse, come cucire, danzare, suonare il liuto). Amabilità. Intelligenza.
Io intendevo darle una lunga vita.
Ho alzato la bacchetta magica e ho colto i suoi occhi. Erano grigi e svegli.
Le sue guance erano dipinte di rosa, i suoi capelli diafani. Toccò la mia bacchetta e rise.
La corte mi trafiggeva con i suoi sguardi di attesa – il re e la regina, le mie sorelle, le signore, i nobili, i servitori, aspettavano il mio dono.
Io riflettei sulla sua vita, sul suo matrimonio con un principe cresciuto cieco al mondo dietro le coppe ingioiellate e dissi:
“Dolce bimba, do’ la tua vita a te stessa, affinché tu la conduca come preferisci, andando o restando, usando i doni che le mie sorelle ti hanno fatto o lasciandoli perdere. Governa per tuo proprio diritto, senza consorte e libera. Se così scegli.”
Il re si infuriò, la regina pianse, le mie sorelle ristettero inorridite. Non sposata? Ma questo è il bacio della morte, una maledizione più terribile dell’avere per marito un ranocchio, o del baciare un porcospino, o del servire una strega, o dell’allevare oche, giacché tutti questi casi conducono poi al matrimonio.
Come fata buona, ho fatto quel che potevo. Le ho dato cent’anni di sonno, una siepe d’edera, un incantesimo che avrebbe selezionato i suoi pretendenti, esaminando la loro grazia, la loro pazienza, il loro ingegno e l’intelligenza e il buon gusto, la loro amabilità e la dolcezza della voce.
Affinché ne sortisse un uomo che sarebbe stato il suo compagno, non il suo padrone.