(“Q&A With Nadeen Spence”, di Kim Crane per WorldPulse, 8.7.2013, trad. Maria G. Di Rienzo)
Nadeen Spence: Sono cresciuta in una piccola comunità rurale chiamata Kilmarnock, nel sud della Giamaica. Quando sono rimasta incinta a 17 anni ho pensato che il mio mondo fosse finito. Ma non è finito, ed ora sono una donna trionfante. Il mio orgoglio viene dall’essere un’attivista a favore delle bambine, ragazze e giovani donne più vulnerabili. Le aiuto a trovare le loro voci, di modo che possano parlare per se stesse.
Nel 2010, ho dato inizio al Campo Estivo “Sono felice di essere una ragazza”. In Giamaica le ragazze sono vulnerabili allo stupro, al traffico di esseri umani e alle violenze fisiche. Sono iniziate al sesso in età precoce e sono più a rischio di contrarre l’Hiv/Aids. Le ragazze sono invisibili, nel nostro paese, e la nostra musica e la nostra cultura popolare minano il loro valore e la loro autostima.
Nel nostro Campo Estivo teniamo seminari per dare potere e autostima alle ragazze. Le istruiamo sui loro diritti, invitiamo esperte a tenere conferenze sui dati reali dello stupro e della violenza di genere in Giamaica. Poiché molte delle ragazze risiedono in comunità che attraversano conflitti, le istruiamo anche nella risoluzione di questi ultimi. Vogliamo che pensino al loro proprio successo e a fare piani per il futuro, così teniamo inoltre un seminario sulle carriere, in cui invitiamo varie organizzazioni per aiutare le ragazze a riflettere sulle opportunità che hanno dopo le scuole superiori. Ho scoperto che mi dà forza ogni giovane donna che emerge dalla propria situazione particolare.
Come hai deciso che era questo ciò che volevi fare nella vita?
Prima ancora della mia gravidanza, che fu difficile a livello emotivo, mi sentivo insicura e su un campo di battaglia, da bambina e da adolescente. Il sistema scolastico secondario della Giamaica è stratificato in modo da rinforzare barriere di classe, di colore ed altre. Gli studenti che passano gli esami detti “Common Entrance” si ricavano uno spazio in una delle prestigiose scuole coloniali giamaicane. Io non li ho passati. A 12 anni, ogni giorno andare a scuola era percorrere il cammino della vergogna: l’esperienza ha minato seriamente la mia fiducia in me stessa. Ogni volta in cui indossavo l’uniforme scolastica sapevo che era di seconda classe, che io non ero abbastanza intelligente, che avevo fallito. E andare a scuola presentava sfide ulteriori: le ragazze erano ripetutamente molestate sugli autobus da guidatori e bigliettai. Offerte e commenti sessuali erano comuni. Una ragazzina doveva essere forte e assertiva per sopportare i viaggi di andata e ritorno da scuola.
Quando ero in seconda media ebbi le mie prime mestruazioni. All’epoca erano terribilmente dolorose per me e di continuo finivo per essere ricoverata in ospedale. Dopo un po’ mia madre decise semplicemente di tenermi a casa da scuola quando avevo le mestruazioni. Vivevo una vita a metà. Smisi di fare sport, anche se ero una giocatrice di pallavolo molto brava. I medici non sembravano prendersi particolarmente a cuore la mia situazione e io soffrivo in silenzio, senza nessuno a cui parlare di come la mia vita si stesse restringendo attorno a me. Noi viviamo in una cultura che non dà fiducia ad una ragazza, una volta che ella raggiunga la pubertà. In qualche modo il mio corpo non aveva tradito solo me, aveva tradito tutte le persone a cui io piacevo, che mi definivano carina e educata prima che i miei seni cominciassero a crescere.
Quando rifletto sulle mie esperienze di vita, capisco quanto avevo bisogno di qualcuno che prendesse le mie parti, che mi aiutasse a capire quei tempi difficili. Io voglio che le ragazze sappiano di avere diritti, sappiano di essere belle e brave ad ogni stadio della loro vita, e che il loro corpo è bello e che la pubertà porterà con sé nuovi meravigliosi sentimenti. Voglio sappiano che la pubertà attirerà su di loro tutti i tipi di attenzione, e alcuni saranno non voluti, ma loro saranno legittimate e consapevoli abbastanza da prendere decisioni informate. Voglio sappiano che sono degne di fiducia. Voglio che le madri sappiano di avere in se stesse tutto quel che serve per aiutare le loro figlie a diventare donne felici.
Che successi hai testimoniato?
All’inizio dei Campi resto allibita a sentire le ragazze dire che non sono felici di essere femmine. Quando Rochelle ha partecipato per la prima volta al campo a 15 anni era così timida da non entrare mai in nessuna conversazione. Parlava a stento e faceva il possibile per non essere notata. Alla fine del Campo, ha cominciato ad emergere lentamente dal bozzolo che si era costruita intorno. Oggi, nonostante la sua difficile infanzia, si sta preparando ad entrare all’università. Un buon numero di ragazze mi hanno fatto sapere di aver preso posizioni di leadership nelle loro scuole. Persino le consulenti del Campo si sono sentite potenziate dalle loro esperienze.
Che consigli hai per le giovani leader del futuro?
Siate orgogliose e coraggiose e parlate sempre per voi stesse. Voglio che le giovani donne non abbiano paura, dicano la loro verità e non si fermino sulla strada del dar potere a se stesse. Voglio che si fidino della loro voce interiore e scendano in lizza e siano, se necessario, le avvocate di se stesse.