Ho Xuan Huong (1772-1822), vietnamita, è verosimilmente l’autrice delle composizioni che seguono. Poiché la raccolta dei suoi versi, preservati per lo più grazie alla tradizione orale, è iniziata circa settant’anni dopo la sua scomparsa, è possibile che fra le 139 poesie – la sua intera opera – ve ne sia qualcuna di mano diversa.
Di lei sappiamo pochissimo: forse era una concubina, forse ha avuto diversi amanti, forse era la moglie di un magistrato giustiziato per corruzione, forse è stata coinvolta in affari politici… Di certo c’è che era istruita, di mentalità indipendente, e scriveva nella propria lingua invece che nell’obbligatorio cinese. Per lungo tempo, sino agli anni ’90 dello scorso secolo, l’opera di Ho Xuan Huong è stata tenuta lontana dalle scuole perché, si dice, era troppo “sboccata”. Le prime due poesie che vi propongo sembrano avvalorare questa ipotesi:
Come un frutto sull’albero
(versione riportata da Nguyen Ngoc Bich, traduzione mia)
Sono come una giaca (1) sull’albero.
Per assaporarmi devi penetrare alla svelta, mentre sono fresca: (2)
la buccia rugosa, la polpa densa, sì.
Ma oh, ti metto in guarda dal solo toccare –
il ricco succo fluirà e ti macchierà le mani.
(1) E’ il frutto del giaco, chiamato comunemente in italiano anche catala o con il termine inglese jackfruit.
(2) Il frutto a volte viene perforato per essere portato a maturazione, lasciando fluire il lattice che è assai copioso.
L’eunuco
(versione riportata da Linh Dinh, traduzione mia)
Quale baruffa fra una dozzina di comari
ha fatto sì che gettassero via il tuo cosino dell’amore?
Al diavolo quel topo che squittisce.
Al diavolo quella vespa che ronza.
Chi sa se è soffice o pieno di protuberanze?
Chi sa se è stelo o bocciolo?
Ma comunque sia, deve andar bene.
A te, puttana non ti chiameranno mai.
Già questo verso finale mette in guardia su quale potrebbe essere stato il vero “pericolo” nell’ammettere la poeta nel canone accademico. Adesso leggete le altre due:
Checché il mondo ne pensi
(su una gravidanza inaspettata: versione riportata da Linh Dinh, traduzione mia)
Il mio accettare ha dato come frutto questo guaio.
Non capisci la mia angoscia?
Anche se non era un’unione decisa in cielo
c’è una pennellata di traverso al salice. (3)
E’ un legame che dura cent’anni, ricordi?
Questo fardello d’amore, intendo, che mi porto appresso.
Checché il mondo ne pensi,
avere un figlio senza avere un marito
è una prodezza molto bella.
(3) La parola vietnamita per “cielo” deriva dal cinese. Il carattere cinese che indica il cielo: 天 con una pennellata diversa diventa: 夫e cioè “marito”. Il salice rappresenta classicamente la donna.
Se lo avessi saputo
(sulla poligamia: versione riportata da John Balaban, traduzione mia)
Una sta sotto la coperta, l’altra congela.
Al diavolo, padre, con questa condivisione del marito.
Una volta ogni tanto, forse due volte al mese:
mi fa lo stesso non averlo.
Il proverbio dice di barattare pugni con riso,
ma il riso è ammuffito.
Avessi saputo che le cose sarebbero andate così,
mi sarei sistemata per bene da sola.
Forse, la cosa davvero disturbante non era tanto l’idea di una donna che sembra non avere alcun tabù sul sesso, ma quella di una donna che in effetti contestava la propria posizione “subordinata” con disarmante, chiarissima naturalezza. Ho Xuan Huong, onore a te e alla tua vita e ai tuoi versi. Ti penso con amore. Maria G. Di Rienzo