Quando aveva 12 anni, Rajaa Altalli giurò a se stessa che non avrebbe mai avuto a che fare con la politica. Ciò accadeva a causa del rapimento di suo padre, un attivista antigovernativo, da parte delle forze di sicurezza siriane. Il padre di Rajaa restò imprigionato per ben nove anni. Ma nel 2011, quando in Siria cominciarono le manifestazioni di piazza e le storie degli abusi perpetrati dal governo si diffusero a macchia d’olio, Rajaa cambiò idea. Abbandonò i suoi studi all’estero e il lavoro come insegnante di matematica, e fondò il “Centro per la società civile e la democrazia in Siria”. ( http://ccsdsyria.org/ ) Assieme all’esperta di strategia nonviolenta Anne Marie Codur, Rajaa ha raccolto le denunce sugli abusi dei diritti umani, ha informato la comunità internazionale sulla situazione siriana, ha facilitato gli incontri fra attivisti e tenuto seminari, disegnato piani per la transizione e la riforma elettorale concentrandosi in particolare sul rafforzamento della società civile e delle donne.
La sua testimonianza è tratta da un più ampio articolo di Rochelle Jones per Awid (5.7.2013, trad. Maria G. Di Rienzo)
Le donne siriane hanno giocato un ruolo importante nelle sollevazioni contro il regime di Assad. Hanno organizzato sit-in, guidato dimostrazioni, cantato slogan per le strade, fornito assistenza medica a chi rimaneva ferito durante le proteste, favorito gli aiuti umanitari. Inoltre, hanno impedito alle forze di sicurezza di arrestare molte persone. Un esempio sono le oltre 500 donne di Banias che hanno organizzato uno sciopero e bloccato l’autostrada. Si sono rifiutate di lasciare il posto sino che il regime siriano non ha rilasciato dalla prigione i loro mariti, figli e fratelli.
Ora che il conflitto si è intensificato ed è cambiato, anche i ruoli delle donne sono mutati, sia per quelle che sono rimaste in Siria, sia per quelle che ne sono uscite. Quando la sollevazione popolare è diventata guerra civile, le donne si sono concentrate sul sostegno umanitario, in special modo alle altre donne e ai bambini. La maggioranza delle leader attiviste sono in questo momento leader dell’aiuto umanitario. E’ perché le donne sono quelle che stanno soffrendo di più e le loro priorità sono passate alla sopravvivenza. Moltissime hanno dovuto abbandonare le loro case e le loro città più di una volta durante gli ultimi due anni. Alcune delle donne che erano figure chiave delle proteste hanno abbandonato il paese dopo essere state arrestate e minacciate. La violenza domestica, durante la crisi, è aumentata e ci sono denunce di violenze sessuali perpetrate da uomini delle forze di sicurezza. Le disperse interne e le rifugiate si stanno prendendo cura le une delle altre, fuori e dentro il paese.
La rappresentanza delle donne negli istituti politici, come la coalizione siriana o i consigli locali è pessima, ma le donne si stanno mobilitando per avere una rappresentanza migliore su molti diversi livelli: sanno quanto è importante essere pronte per il processo di transizione. Basta notare con quanto impegno e volontà si stanno istruendo per qualificare meglio la loro partecipazione politica. Il ciclo della marginalizzazione e dell’esclusione delle donne, un tema ricorrente in Siria negli ultimi cinquant’anni, dev’essere spezzato se vogliamo che il paese abbia una società civile robusta e una cultura politica pluralista. Ma ora come ora, la realtà per troppe donne è semplicemente la preoccupazione di riuscire a sopravvivere. Le rifugiate, che sono in miseria, devono lottare contro i rischi dei matrimoni precoci per le loro bambine e della prostituzione forzata. Dare una bimba in sposa è visto come un modo per assicurarsi che la figlia sia nutrita e protetta, ma in realtà le spose bambine sono estremamente vulnerabili all’abuso, perdono l’opportunità di istruirsi e possono morire o soffrire danni permanenti a causa delle gravidanze precoci.
Io credo nelle donne siriane. Sono quanto forti sono nonostante tutte le pressioni e le oppressioni che subiscono da famiglie, società, regime ed estremisti. Però, credo anche che abbiano bisogno del sostegno delle attiviste internazionali per i diritti delle donne. Vi chiedo di stare al loro fianco, di udire le loro voci, di concertare azioni con loro. Abbiamo bisogno delle esperienze che le altre donne in tutto il mondo hanno acquisito tramite il loro lavoro di attiviste. Costruire più contatti significa costruire potere.