“Stando alle statistiche raccolte nei rifugi e tramite le linee telefoniche amiche, la maggior parte dei perpetratori di violenza domestica (in Italia) sono offensori abituali. Più della metà delle vittime del femicidio italiano avevano denunciato i loro partner per violenza domestica nel passato, anche se solo quando avevano avuto bisogno di cure mediche importanti. Ma, come molte donne in relazioni gravemente disfunzionali, avevano perdonato i loro aggressori: spesso a causa del controllo psicologico che gli uomini detenevano su di esse. (…) In effetti, la dose italiana pro capite di violenza domestica e femicidio è la più alta d’Europa. Una donna italiana su tre ammette di ricevere abusi fisici su base regolare. (…) In un sondaggio del 2010 di Eurobarometer, più del 90% delle donne italiane ritenevano la violenza domestica accettata e comune nel paese e, forse peggio ancora, ritenevano di non poter fare nulla per fermarla.” – tratto da “Italy Rages Against Murder of Fabiana Luzzi”, di Barbie Latza Nadeau per The Daily Beast, 29.5.2013, trad. Maria G. Di Rienzo
Il caso di Rosaria (13 maggio u.s.) che dopo l’asporto della milza spappolata a calci dal suo convivente dichiara di perdonarlo e che tornerà a vivere con lui, e della 35enne minacciata con il piccone dal compagno che decide di non denunciarlo (30 maggio u.s.), hanno riportato a galla il famoso testo di Robin Norwood: “Donne che amano troppo”. Dovremmo berlo come la medicina del mattino, pensa qualcuno/a, o tenerlo sul comodino come la Bibbia. Dalla fine degli anni ’80 questo libro finisce spensieratamente nelle liste di “bibliografia femminista” e tutti pensano alla signora Norwood come a una stimata terapista e a un’attivista per i diritti delle donne. Peccato che niente sia più lontano dalla realtà.
L’autrice, prima di assicurarsi il futuro con questo best-seller, aveva lavorato per gli Alcolisti Anonimi (terapia a dodici fasi) e su tale lavoro ha modellato il suo intervento per le donne che vivevano relazioni distruttive, aggiungendovi gli esercizi spirituali e la Preghiera della serenità che dovrebbe aiutare le donne ad accettare di buon grado ciò che non possono cambiare. D’altronde, Norwood si definì uno “strumento spirituale”, il cui libro era stato scritto da “un potere superiore”, quella forza misteriosa che, secondo lei, dirige la vita delle donne e a cui esse devono arrendersi. La dimensione sociale della violenza domestica non la interessa: Norwood la riduce ad un problema psicologico delle singole, assuefatte agli uomini o androdipendenti, e le incoraggia ad “astenersi dal guardare oltre se stesse” (abitudine che definisce “deplorevole”), a “costruire a poco a poco la volontà di abbandonarsi”, a “rinunciare alla pretesa di far andare le cose nel modo che, secondo voi, sarebbe giusto”, ad “accettare il fatto che forse non sapete che cosa è meglio in una determinata situazione”. Il desiderio di affermare se stesse, secondo Norwood, è un “difetto caratteriale”. Per sentirsi dire tutto questo, le donne che si iscrivevano ai gruppi di quelle “che amano troppo” pagavano alla fine degli anni ’80 dai 30 ai 40 dollari la settimana, in aggiunta agli 80 per la terapia individuale. Oppure potevano ascoltarlo nelle conferenze della Norwood (2.500 dollari come quota fissa per l’apparizione, biglietto d’ingresso 40). E sicuramente, come dicono le loro testimonianze riportate da Susan Faludi, imparavano molte cose nuove e utili: ad esempio che il loro matrimonio era andato a rotoli perché si erano “lasciate andare”, che in fondo in fondo erano solo bambine, che dopo aver chiesto il divorzio e subito perciò ogni sorta di aggressioni era meglio tornare con il marito perché alla fine erano state loro a permettere che ciò accadesse.
Tuttavia, non è questo mucchio di stupidaggini superficiali e regressive, ne’ i milioni che Robin Norwood ci ha raccolto sopra, a farmi buttare nel cestino la sua “bibbia”: è la truffa che ci sta dietro. Quando in troppi notarono la somiglianza fra le “pazienti” descritte nel libro e lei stessa, l’autrice fu costretta ad ammettere che la maggior parte delle donne di cui parla se l’è inventate di sana pianta. Pam, Jill e Trudi NON ESISTONO. Il glorioso e strombazzato finale in cui Trudi, ora “convalescente”, fa la sua ultima seduta con Norwood, e i suoi occhi brillano e i suoi capelli ondeggiano lunghi e folti, è solo la fantasia dell’autrice che parla con se stessa. Quale fu il commento della preclara terapista dopo l’ammissione? Be’, lei non aveva mai sostenuto che quelli citati fossero dei veri casi clinici. Ma, aggiunse, il punto non era certo stabilire quali parti fossero sue e quali no! Purtroppo, se si vuole lavorare professionalmente nell’ambito della violenza di genere, il punto è proprio questo. Vendere fumo sulla sofferenza altrui non è solo disgustoso, è inutile, dannoso e complice. Nonostante le svanziche, non ha migliorato nemmeno la vita della Norwood, che dopo il terzo divorzio si è ritirata in semi-reclusione in una villa fronte mare dove non legge neppure i giornali, per “non perdere il contatto con se stessa”. Auguri. Maria G. Di Rienzo