Temo di non essere all’altezza di entrare nell’attuale coltissimo dibattito politico che interessa il nostro paese. Mi scuso in anticipo per i termini volgari e idioti e odiosi che sarò costretta ad usare nei prossimi paragrafi, ma non credo sconvolgeranno più di tanto chi mi legge, visto che sono continuamente visibili su tutti i quotidiani, sulle testate online, sui social network, eccetera. Vedete, fra troie in Parlamento disposte a tutto e padri puttanieri putrefatti da prendere a calci in culo, il linguaggio del dibattito ha raggiunto vette inaccessibili a chi, come me, è solo una comune mortale. Ma non è nuovo. Non ha nulla di originale, di trasgressivo, di diverso, di dirompente, checché ne pensi chi lo usa. Da secoli gli uomini si insultano tramite i corpi delle donne.
Da secoli il peggior insulto che uomo possa rivolgere ad un altro è assimilarlo simbolicamente a una donna (femminuccia, effeminato), perché da secoli essere una donna è un vero disastro, non lo sapevate? E un uomo che voglia distruggerne un altro a livello metaforico ha a disposizione un campionario vastissimo di “mancanze” femminili da buttare addosso alla sua “onorabilità” e “credibilità”. Per esempio, può dirgli cornuto e puttaniere, e che sua madre/sua moglie/sua figlia/sua sorella sono troie o cessi inchiavabili. Il campionario è vasto, ripeto, tuttavia l’immaginario che lo produce è ristrettissimo. Lo si può ridurre a due soli concetti: le donne sono definite dalla loro attività sessuale con gli uomini, e la loro sessualità è per antonomasia sporca (inadeguata, demoniaca, peccaminosa, ecc.)
Ad ogni modo, l’insulto non è diretto. E’ filtrato dai mefitici genitali femminili – per non dire di peggio – che sostituiscono l’immagine di una donna intera. Molta della violenza sulle donne è iscritta in questo paradigma di guerra dell’ego fra uomini (i cosiddetti “stupri etnici” sono un buon esempio, come i “delitti d’onore”), così che per denigrare verbalmente un uomo si getta una secchiata di immondizia sulle donne con cui lui è in relazione, e che si suppone lui possieda e controlli: dopotutto, non sono altro che pezzi di carne, scopabili o no. Meno male che il patriarcato era morto e che, come scrivono ossessivamente i nazi-troll su qualsiasi spazio trovino in internet, “viviamo in un regime femminista”.
Le dinamiche comunicative del patriarcato sono esattamente dominio, controllo e violenza. Perciò è inutile che io, o chiunque altro, chieda ai signori del dibattito politico fatto di puttane e puttanieri di smettere di urlare a vanvera e di vomitare cascate di insulti. Però mi sento di chiedere loro di essere un po’ più creativi. Signori, so già che non siete in grado di stare sul merito in un qualsiasi dialogo, so già che non siete capaci di aggredire le azioni che ritenete sbagliate senza disumanizzare la persona che le compie, ma non potreste almeno lasciare noi donne in disparte?
Davvero. Stupiteci con la vostra inventiva, una volta tanto. Definire il Parlamento “pieno di mercenari disposti a qualsiasi bassezza” e i segretari dei partiti “padri padrini” vi conquisterà egualmente il titolone in prima pagina e i 3876 “mi piace” sulla vostra paginetta Facebook. Uscite mentalmente dalla camera da letto dove raccattate mogli madri amanti altrui da usare come armi e scannatevi fraternamente fra voi, da veri uomini.
Vi assicuro che, nel frattempo, noi continueremo ad abitare tutte le stanze della casa, tutti i luoghi del mondo, e a fare quei miliardi di cose utili, sensate, indispensabili, coraggiose, compassionevoli, allegre, solidali che voi, concentrati nello sbirciare le nostre mutande, non riuscite a vedere. Maria G. Di Rienzo