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Se questo è un padre »

Intervista a Monira Rahman

21 febbraio 2013 di lunanuvola

(Women in the World Foundation, 14.2.2013. Trad. Maria G. Di Rienzo)

I fatti sugli attacchi con l’acido sono questi: 1.500 incidenti l’anno e l’80% dei bersagli sono donne. In Bangladesh questo crimine era diventato comune: solo nel 2002 ci furono 500 aggressioni, spesso dirette a ragazze minori di 18 anni. Poi, Monira Rahman è entrata sulla scena. Sin dal 1999, la sua Fondazione Sopravvissute all’Acido – http://www.acidsurvivors.org – ha lavorato per fermare la violenza e per fornire sostegno medico e psicologico alle vittime, molte delle quali ottengono ben poco aiuto dai medici e dai poliziotti locali. Dal suo ufficio di Dhaka, Monira Rahman ha risposto alle nostre domande.

 Monira

Cosa ti ha ispirato a creare la Fondazione?

Avevo incontrato due donne che erano state assalite con l’acido nel 1997 ed ero rimasta colpita dalla loro forza e dal loro coraggio. Volevo lavorare con loro per fare qualcosa per loro e per capirle meglio. Percepivo che la violenza stava crescendo enormemente, in Bangladesh, e mi dicevo che nessuna donna dovrebbe vivere in un luogo in cui non è al sicuro. E’ un fondamentale diritto umano che le donne siano libere di vivere le loro vite senza il timore della violenza.

Parlaci di una donna che ti ha particolarmente impressionata.

Una delle due che incontrai nel 1997 era la 17enne Bina Akter, il cui sogno di diventare un’atleta andò in pezzi quando intervenne per proteggere sua cugina da un attacco con l’acido. Bina restò cieca da un occhio e sfigurata, mentre la cugina riportò ustioni sulle mani e sul corpo. Entrambe le ragazze, ora, hanno trasformato le loro vite. Bina sta studiando all’estero e vuole lavorare come infermiera nella nostra clinica specializzata; sua cugina è una consulente.

Bina ha aiutato molte altre sopravvissute parlando in pubblico degli attacchi con l’acido, ha creato campagne affinché vi fossero leggi che si occupassero della faccenda ed ha accresciuto la consapevolezza sulla violenza contro le donne in tutto il mondo.

Qual è la prima cosa che dici ad una donna che ha sofferto questo trauma?

Non sei sola. Hai il coraggio per combattere questa esperienza. Questo è un reato. Questa è una violazione dei tuoi diritti umani. Tu non sei responsabile per l’aggressione. Non provare vergogna.

Alcune stime e ricerche dicono che la tua organizzazione ha contribuito a far decrescere gli attacchi con l’acido, in Bangladesh, del 40%. Come ci sei riuscita?

Il fatto che gli attacchi siano diminuiti, in Bangladesh, approssimativamente dell’80% – se prendiamo in esame gli ultimi dieci anni – non è dovuto solo alla Fondazione Sopravvissute all’Acido: ci vogliono le collaborazioni con le organizzazioni internazionali, i finanziatori, i media, la società, e soprattutto il governo, per ridurre collettivamente ogni forma di violenza contro le donne. Questo lavoro ha avuto successo, perché dai 500 attacchi del 2002 siamo passati ai 98 del 2012.

Tuttavia, dobbiamo mantenere questo livello di concentrazione: in gennaio c’è stato un drammatico aumento di violenza contro le donne. La gravità degli assalti con l’acido è pure disturbante: una studentessa universitaria di Dhaka è stata di recente attaccata con l’acido e contemporaneamente pugnalata. Sta ancora lottando per sopravvivere.

Come ci si può assicurare che gli attacchi con l’acido non ricomincino a crescere?

Ho cominciato a lavorare con altri gruppi di donne per chiamare il Parlamento ad azioni decisive. Nella preparazione di One Billion Rising stiamo partecipando giornalmente a raduni e dimostrazioni, mi sto persino portando dietro mio figlio. (Ndt: L’intervista è avvenuta il giorno precedente l’azione globale.) Il 14 febbraio ci uniremo a migliaia di sopravvissute per condannare la violenza contro le donne. Poi, l’8 marzo, per il Giorno Internazionale delle Donne, più di 500 sopravvissute agli attacchi con l’acido parteciperanno ad una manifestazione nazionale che chiederà giustizia e miglior responso dal governo.

Lo stupro sull’autobus della studentessa di Delhi ha attratto l’attenzione mondiale su che misure il sistema giudiziario deve usare per contrastare la violenza estrema. In Bangladesh questo è un grosso problema: i perpetratori di violenze si avvantaggiano dove il primato della legge non è stabile.

E’ stato difficile lavorare con le vittime di quest’orrenda violenza?

Quando ho dato inizio alla Fondazione Sopravvissute all’Acido ero traumatizzata. Per molti anni ho sempre portato una bottiglia d’acqua con me, perché temevo che il mio impegno avrebbe provocato un’aggressione simile, e per i primi tempi non riuscivo a pensare o a parlare di nient’altro. Sono fortunata, perché la Fondazione è un ambiente dove io posso esprimere le mie emozioni con altre persone, siano le mie emozioni rabbia, tristezza o gioia.

C’è qualcuno che sta seguendo il tuo esempio?

Da quando hanno visto il successo del lavoro della Fondazione con le sopravvissute, sei paesi hanno dato vita ad organizzazioni simili. Anche la legge specifica per combattere la violenza con l’acido che abbiamo proposto in Bangladesh è stata ripresa, da altri due paesi.

Le cliniche della Fondazione hanno fornito alle vittime il miglior trattamento medico in tutta la nazione, in un ambito dalle scarse risorse, e ora speriamo di agire come “centro d’eccellenza” a livello globale. Attualmente stiamo raccogliendo fondi per sviluppare la Fondazione in un complesso che comprenda una “banca della pelle”, un centro di riabilitazione ed un rifugio per coloro che hanno gravi problemi di sicurezza.

Cosa ti rende ottimista?

Lo spirito delle sopravvissute. Non vogliono pietà dall’opinione pubblica: tutto quel che chiedono è cooperazione. Parlo con donne che mi chiedono di trovar loro un lavoro mentre sono ancora nel letto dell’ospedale. Vogliono condurre esistenze indipendenti e perciò una delle cose che possiamo fare è sostenerle nell’accedere a migliori condizioni di vita.

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