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Viaggio nella paura

13 dicembre 2012 di lunanuvola

(“A woman’s life – A journey of constant fear”, di Konda Delphine, dicembre 2012, trad. Maria G. Di Rienzo. L’autrice, venticinquenne del Camerun, è un’attivista per i diritti umani delle donne e co-fondatrice di “VOW Initiative”, un progetto che usa i social media per dare visibilità e voce alle donne e che fornisce addestramento al cosiddetto “citizen journalism”: il giornalismo dei cittadini/delle cittadine, l’informazione dal basso.)

 Konda Delphine

Devo ammettere che sono stata spaventata per tutta la vita. La gente non lo nota, per la forza con cui sostengo le mie opinioni.

Da bambina, sono stata testimone di un mucchio di violenza domestica. In Camerun è assai comune, in famiglia, nel vicinato, nell’intera comunità. In effetti, in certe tribù del mio paese si dice che se un uomo non picchia sua moglie non la ama. Mentre crescevo in un ambiente violento mia madre era costantemente preoccupata che potessero violentarmi, perché anche lo stupro di bambine è una cosa assai comune. A 12 anni, la maggior parte delle bambine del villaggio erano sposate. Io no, perché i miei genitori rifiutavano di sentirne parlare. Inoltre io volevo andare a scuola, imparare e aiutare le mie amiche e le bambine in generale. Volevo essere la “dirigente” della mia vita ed è esattamente quel che sono ora.

Da bambina cominciai a capire come le cose funzionavano attorno a me. Gli uomini parlano e le donne ascoltano. Compresi anche che i miei sogni spaventavano la gente. In maggioranza continuavano a dirmi che una donna non doveva sedersi, parlare, camminare e vestirsi così o colà: Una donna non dovrebbe essere così orgogliosa. Una donna deve stare a sentire e non deve parlare. Le donne non devono essere più istruite degli uomini. Se un uomo ti picchia è perché lo hai provocato. Pure, tutto questo indottrinamento sociale cadde in orecchie sorde. Non appena il mio ex ragazzo si fece ardito al punto di dirmi che mi avrebbe schiaffeggiata, si trovò fuori dalla mia vita più velocemente di quanto avesse mai immaginato.

Potrei andare avanti all’infinito con gli esempi, ma il mio punto è che viviamo immerse in una paura costante. Paura di essere stuprate, discriminate, giudicate, criticate e paura di fallire e paura di non poter neppure reagire. Ciò che il mondo non riesce davvero a capire è la sofferenza delle donne. Intorno alle donne tutto va continuamente a pezzi e le donne persistono a raccogliere quei pezzi con dignità. Anni e anni di cose tenute dentro possono far impazzire veramente una persona.

Nel 2011 ho compiuto delle ricerche su due prigioni in Camerun. In una di esse incontrai una ventiquattrenne che era in galera per la morte del marito. Quando mi interessai alla sua vita fuori di prigione sentii solo storie orribili: che era un’adultera, una donna disprezzabile, che aveva ucciso il marito quando era stata scoperta e così via. Tuttavia non mi convinsero, proprio perché l’avevo conosciuta. Così tornai a farle visita e lei mi raccontò la sua storia: era stata la vittima di un matrimonio forzato e aveva subito la violenza del marito per anni. Le botte di quell’uomo l’avevano fatta abortire due volte. Durante l’ultimo assalto si era difesa e lui era rimasto ucciso.

Organizzai un’azione comunitaria, al proposito, con la mia associazione, gli amici e i familiari, ma più di raccogliere donazioni per lei e le altre donne in prigione non potemmo fare. Ero sconvolta al sentire il biasimo buttato interamente su di lei: tutti concordavano sul fatto che il marito la batteva da anni, ma si aspettavano che lei sopportasse. Dopo tutto, dicevano, mica è l’unica a far esperienza di violenza domestica. Ci sono così tanti problemi che si risolverebbero eliminando la violenza contro le donne. E io capisco come quella giovane si è sentita, perché quel che le è accaduto poteva accadere a qualunque donna si stancasse di essere il punching-ball di un uomo.

Ricordo quanta paura avevamo io e le altre ragazze all’università. Ogni giorno, finite le lezioni, c’erano notizie di questa ragazza o quest’altra che erano state stuprate o molestate. Quando c’erano scioperi ero ancora più terrorizzata, perché un maggior numero di ragazze sarebbero state violentate durante lo sciopero. E se non è abbastanza, di recente due ragazze in Camerun sono state spogliate in pubblico perché “i loro vestiti erano indecenti”. Chi determina se una persona è vestita bene o no? Avete visto in giro il detector della decenza, per caso? E spogliare a forza delle persone in pubblico è per me la cosa più indecente che possa esserci. E’ per tutto questo che io non posso smettere di scrivere e lavorare per i diritti delle donne. Sono cruciali per lo sviluppo delle società. Tutte e tutti dovremmo far voto di impegnarci a fermare questa violenza.

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