“1. La Regione del Veneto promuove e garantisce nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie e nei consultori la diffusione e la divulgazione dell’informazione sui diritti dei cittadini con riferimento alle questioni etiche e della vita, riconoscendo a tutte le associazioni, di cui al comma 2, pari opportunità di comunicazione.
2. Per le finalità di cui al comma 1 e nel rispetto della privacy, la Giunta regionale, sentita la commissione consiliare competente in materia socio-sanitaria, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, individua con regolamento le modalità di diffusione e di divulgazione da parte delle associazioni di volontariato, iscritte nell’albo regionale o riconosciute a livello nazionale.”
Sapete cos’è questa roba? E’ la legge votata dal Consiglio Regionale del Veneto il 27 luglio 2012 per permettere ai movimenti antiabortisti di entrare legalmente nelle strutture pubbliche (prima recitavano rosari e ti gridavano “assassina” all’esterno, e santo cielo spesso il tempo non è clemente, prima che gli piova in testa o che prendano un’insolazione meglio farli stare comodi). Laura Puppato, candidata alle primarie del PD, è colei che ha riscritto questo testo assieme a Pedrin del PDL per “non farne approvare uno peggiore”. E ultimamente si chiede, vedi te, se l’Italia è un paese per donne.
Posso dire con certezza che, grazie a lei, lo è ancora meno del solito. In realtà la legge avrebbe potuto essere bocciata: il 5 luglio la Commissione Sanità aveva respinto il primo testo e il taglia e cuci e pasticcia del secondo è persino scollegato dalla proposta iniziale (legge di iniziativa popolare con 20.000 firme). Puppato ha sudato un po’ quando qualche donna le ha fatto notare la sua incongruenza: appellarsi alle donne dopo averle simbolicamente presi a calci nel didietro non è stata una mossa provvidissima. Così ha assicurato che si premurerà di indagare per conoscere le strutture che in Veneto garantiscono davvero l’erogazione della 194 e su Facebook va postando frasi del tipo: “Tengo al rapporto umano e sono attenta alle questioni delle donne, da madre (e quasi nonna).”
Nel mentre lei indaga e pratica la sua materna e quasi-nonnesca attenzione a questo soggetto plurale alieno, io ho qualche domanda da fare sull’ingresso delle associazioni antiabortiste nelle strutture pubbliche. La prima è: chi controlla il grado di accuratezza scientifica delle loro informazioni? Anni fa sostenevano che a tre settimane di gestazione si poteva conoscere “il colore degli occhi del bambino” (sic). Ho ancora in qualche cassetto il delirante materiale che chiama le blastule “bambini” e le fa gridare “mamma non uccidermi”. Interrompere una gravidanza non è mai una decisione facile ma l’unica persona intitolata a decidere è quella che è incinta, e su questo Puppato dovrebbe essere d’accordo, giacché parla di “garantire a tutte le persone il diritto e la possibilità di scegliere”. Perché allo stress che la situazione e il ricovero ospedaliero comunque comportano si debbano aggiungere falsità, insulti e umiliazioni è qualcosa che vorrei davvero NON riuscire a comprendere. Invece lo capisco benissimo: lungi dall’aver a che fare con la “divulgazione dell’informazione sui diritti dei cittadini”, la legge regionale sottende un giudizio morale su chi interrompe una gravidanza, un giudizio – va da sé – negativo.
Perché altrimenti (seconda domanda) ci sarebbe bisogno di mandare i primi che capitano a spiegare a costoro “le questioni etiche e della vita”? Perché chi ha redatto il testo pensa alle donne come ad eterne minorenni, costituzionalmente immorali, mentalmente sottosviluppate, e perciò bisognose che qualcuno spieghi loro un po’ di etica, perdinci, altrimenti si rotoleranno nel fango da quegli animali inferiori che sono. Le donne non pensano, non ragionano, hanno l’anima solo da pochi secoli (come da Concilio apposito) e non dev’essere loro permesso di prendere decisioni: ma qualche eccezione può essere fatta se prima subiscono un po’ di violenza fondamentalista e ingoiano una buona dose di veleno “morale”. Passate queste forche caudine, se proprio vogliono continuare a grufolare nel peccato e nell’abiezione, be’, pregheremo per loro: ci sentiranno dai corridoi, finalmente, non saremo più costretti ad urlare dall’esterno del Consultorio.
Laura Puppato, come legislatrice ed amministratrice, può parlare e vantarsi della sua carriera, della sua autostima, della sua identità, delle sue idee e delle sue scelte – ma solo queste ultime hanno rilevanza nelle nostre vite. Personalmente non mi interessa sapere cosa farebbe se fosse Presidente del Consiglio (si è in effetti diffusa sull’argomento), come a lei non interesserebbe sapere cosa farei io se vincessi il Nobel per la Letteratura. Sono ambedue delle fantasie senza riscontro pratico. E nella pratica abbiamo invece un peggioramento reale nelle vite delle donne, grazie a questa legge vergata e votata da una che si chiede se l’Italia sia un paese per donne. Okay. Adesso capite perché non mi interessa avere a priori più donne nelle istituzioni o in posizioni di leadership? Perché non posso fare a meno di trovare le Minetti disgustose e le Puppato quantomeno incoerenti? Sono una femminista, non una santa. Maria G. Di Rienzo