Il 19 settembre scorso, l’agenzia di stampa iraniana Mehr (gestita dal governo) riporta con somma indignazione un incidente che pare sia avvenuto nella città di Shahmirzad, provincia di Semnan.
Il chierico Hojatoleslam Ali Beheshti, mentre è sulla strada per andare in moschea, nota una donna che lui giudica “coperta male”. Immediatamente la apostrofa ingiungendole di coprirsi meglio, in quanto ritiene suo dovere religioso “comandare il giusto e proibire lo sbagliato”.
La donna gli risponde: “E tu copriti gli occhi.” Esterrefatto, il chierico ripete veemente il suo comando. Ma invece di piangere, di implorare perdono, o di correre a comprare un sacco di yuta in cui infilarsi completamente, la donna lo spintona affinché si allontani. Il povero Hojatoleslam Ali Beheshti cade di schiena e poi, dice: “Non so cosa sia successo, tutto quel che sentivo erano gli insulti e i calci che la donna mi sferrava.” L’agenzia di stampa Mehr ha anche riportato che non sarebbe la prima volta in cui i chierici soffrono in questo modo, respinti con violenza dalle pecorelle a cui offrono saggia guida.
Inaudito. Queste donne sono veramente diaboliche. Oppure non ne possono più. E’ dal 1979 che gli sciiti al potere delirano sui loro vestiti, sciarpe, capelli, ornamenti, scarpe, lunghezza delle unghie, cosmetici e così via. Sono più di trent’anni che le si bastona, le si umilia, le si multa e le si imprigiona a capriccio del primo che passa per strada e pensa che le loro caviglie siano troppo visibili e che i loro gomiti dovrebbero essere coperti. Il chierico ha detto che il 19 settembre scorso è stato “il giorno peggiore della sua vita” e non stento a credergli. Sarebbe interessante, però, se cominciasse a riflettere sul fatto che troppe donne del suo paese si sentono ogni giorno così. Maria G. Di Rienzo
Per esempio…
Nasim Soltan Beigi, dal 25 agosto 2012 in carcere (nella tristemente famosa prigione di Evin) dove deve scontare 6 anni. I suoi crimini sono l’essere un’attivista per i diritti umani delle donne e una studente di sinistra.
Jila Baniyagoob, a Evin dal 2 settembre 2012 dove sconterà un anno di carcere, ma la sentenza comprende anche il bando trentennale dalla sua professione: giornalista. Jila è nota e stimata in patria e all’estero; in Iran ha scritto di istanze sociali per una miriade di quotidiani (Hamshahri, Norooz, Vaghaye Etefaghiyeh, Yaas-e No, Sobhe Emrooz, Aftab Emrooz, Sarmayeh) e ha ricevuto riconoscimenti che vanno dal premio per il “Coraggio nel giornalismo” conferitole nel 2009 dall’ International Women’s Media Foundation a quello conferitole nel 2011 da Reporters Without Borders. Suo marito, parimenti giornalista, è già in galera da cinque anni. Il loro crimine è aver riportato le notizie relative alle ultime controverse elezioni presidenziali ed altre in un modo che non è garbato al governo.