Maggio 1983, Fortaleza, Brasile. La farmacista Maria da Penha Fernandes è a letto, profondamente addormentata. Suo marito Marco Antonio Heredia Viveiros, colombiano naturalizzato brasiliano, economista e docente, le spara nella schiena. Maria sopravvive, ma ora è paraplegica senza alcuna speranza di riacquistare l’uso delle gambe. Quando torna a casa, due mesi d’ospedale più tardi, il marito tenta di folgorarla con l’elettricità mentre fa il bagno.
Le leggi brasiliane sono, all’epoca, talmente compiacenti con i perpetratori di violenza domestica e femminicidio che Maria deve dare inizio lei stessa al processo legale contro il marito nel 1984. Arriverà il 1991 prima che un tribunale condanni Heredia Viveiros a 15 anni di carcere, ridotti a 10 in una successiva sentenza del 1996. Ma fra stratagemmi e appelli il condannato continua ad essere a piede libero. Maria si rivolge dunque al Tribunale Inter-Americano per i Diritti Umani, che chiede ragione al governo del Brasile del trattamento da lei subito e di intraprendere misure efficaci per contrastare la violenza di genere. Nessuna risposta arriva, e il caso di Maria da Penha langue nei tribunali per vent’anni, prima che il governo ceda alle pressioni internazionali accese dai suoi appelli e dalle sue azioni legali.
Nel 2006, infine, il governo brasiliano emana una legge salutata dalle femministe locali come una pietra miliare nel mettere fine all’impunità che alimenta la violenza contro le donne. Quasi a risarcimento simbolico, la nuova legge si chiama “Legge Maria da Penha sulla violenza domestica e familiare”. Ma non è solo un omaggio: Maria ed il movimento femminista brasiliano hanno effettivamente svolto un ruolo di consulenza nella sua stesura, ed è per questo che la legge non si limita a punire la violenza, ma stabilisce strumenti per la sua prevenzione, istituisce rifugi e servizi per le vittime e così via. Ad ogni anniversario della sua emanazione, in agosto, i suoi risultati positivi sono resi pubblici: si tratta, a tutt’oggi, di 350.000 processi e di più di 120.000 sentenze definitive, e di oltre 2 milioni di chiamate al Centro di Servizio per le Donne creato dalla legge stessa. I potenziali assassini di mogli e i loro sostenitori devono esserne stati davvero sconvolti, giacché hanno tentato di far dichiarare la legge incostituzionale nel marzo 2011 (e hanno perso).
Con una media di dieci omicidi di donne al giorno, però, la situazione in Brasile resta allarmante. “Il problema non è la legge, ma il riuscire ad implementarla pienamente.”, spiega Maria da Penha, “Prima di essa la violenza domestica era poco più di una bagattella come crimine. La realtà è cambiata: ovunque io vada a parlare con altre donne c’è qualcuna che mi dice di essere stata “salvata” dalla legge. Mancano le risorse finanziarie per farla funzionare in tutta la sua forza. Ed è necessario sensibilizzare ed addestrare coloro che sono coinvolti professionalmente nello scenario della violenza di genere: medici, poliziotti, assistenti sociali, eccetera. Quel che mi sostiene nel continuare questa lotta è che ci sono tantissime persone disposte a lottare con me, donne e uomini che sognano una società più umana per i loro figli e i loro nipoti.”
Se non si era capito, l’impegno di Maria contro la violenza di genere non si è fermato alla sua personale vicenda. E’ una delle formatrici ed attiviste più capaci e stimate del suo paese. Ed è davvero una bellissima persona: sarei felice se un giorno riuscissi ad assomigliarle non solo per omonimia. Maria G. Di Rienzo