(di Shadi Sadr, 20.5.2010, trad. M.G. Di Rienzo)
Per anni, non solo nei paesi musulmani ma anche in Occidente, il dibattito sul “velo” è stato riconosciuto come una questione complessa. Nell’ultima settimana di aprile 2010 due discussioni simultanee in merito si sono aperte in due differenti paesi. In Belgio, il Parlamento ha messo al voto una legge che proibisce alle donne di indossare burqa negli spazi pubblici. In Iran, funzionari governativi hanno annunciato i loro piani per l’ulteriore espansione e rinforzo dell’obbligatorietà del velo e delle leggi sulla castità.
Secondo la legge belga, se una donna copre il suo intero corpo incluso il suo volto, può essere multata per un ammontare di 15/25 euro, o imprigionata da uno a sette giorni. Secondo l’agenda iraniana su velo e castità, commissioni governative sono incaricate di creare ulteriori restrizioni e limitazioni rispetto alla segregazione per genere in ogni spazio pubblico.
In un comunicato stampa, l’organizzazione per i diritti umani Amnesty International ha invitato il governo belga a non ratificare la legge che bandisce i burqa dallo spazio pubblico. AI ha dichiarato che essa viola i diritti umani delle donne: “Un bando generale dei veli che coprono il viso violerebbe il diritto alla libertà di espressione ed alla libertà di religione per quelle donne che scelgono di esprimere la loro identità in questo modo.” Allo stesso modo, Human Rights Watch ha rilasciato un comunicato che condanna il bando e chiede al Belgio di non ratificare la legge: “La legge viola i diritti di coloro che scelgono di indossare il velo e non aiuta coloro che sono forzate a farlo.”
Ad oggi, nessuna delle due organizzazioni ha mostrato alcun tipo di reazione rispetto all’espansione dell’obbligatorietà del velo in Iran, che si traduce in maggior oppressione per le donne iraniane. Non intendo qui presentare una critica femminista alle azioni di Amnesty International o di Human Rights Watch, ne’ voglio elaborare la complessa questione che mette sullo stesso piano il burqa e il velo per la testa. Qui, mi sto solo concentrando sulle azioni di queste due organizzazioni per i diritti umani rispetto alle leggi sul velo in due diversi paesi: Iran e Belgio.
Il diritto di una donna di velarsi include sia la libertà di farlo, sia la libertà di non farlo. Similmente, il diritto di astenersi dal pubblicizzare i propri convincimenti religiosi dev’essere riconosciuto come parte del diritto individuale di esprimerli. La scelta di non osservare pratiche religiose va rispettata come la scelta di osservarle.
Dopo che gli islamisti iraniani sono andati al potere, nel febbraio del 1979, hanno immediatamente emanato leggi sull’obbligatorietà del velo. Per tutti i 31 anni che sono trascorsi da allora, essi hanno continuato a violare in merito i diritti delle donne non musulmane e delle donne non religiose. Il recente piano del governo iraniano dà inizio ad un nuovo ciclo di repressione per le donne, si trovino esse sul posto di lavoro, all’università, nelle scuole o negli stadi, per le strade o in ogni altro spazio pubblico.
In questo senso, i diritti umani delle donne iraniane, che sono la metà di una popolazione che ammonta a 70 milioni di persone, continuano ad essere violati senza che alcun comunicato, alcuna preoccupazione o reazione venga dalle maggiori organizzazioni per i diritti umani. Le stesse organizzazioni hanno invece appassionatamente e con urgenza dichiarato la loro opposizione alla legge belga che bandisce il burqa (che, per contrasto, riguarda forse una trentina di donne).
E’ scontato che quando parliamo di diritti umani stiamo parlando dei diritti di tutti gli esseri umani in tutto il mondo, senza eccezioni o priorità per alcuni popoli. Ma sembra che AI e HRW aderiscano a standard differenti quando si tratta dell’Iran e delle sue severe politiche sull’obbligatorietà del velo.
E’ ora che queste organizzazioni dichiarino esplicitamente la loro posizione rispetto al crescente uso della forza che il governo iraniano fa in relazione alle sue politiche di prescrizioni in merito all’abbigliamento. Dato l’obbligo di velarsi per milioni di donne iraniane, e le continue repressioni, umiliazioni e persecuzioni che esse devono sopportare in nome del “codice di abbigliamento islamico”, le donne iraniane meritano una spiegazione sul perché la loro realtà è considerata indegna di alta priorità.