• Home
  • Forse vi chiedete perchè…
  • Il numero mille – FAQ
  • Interni

Lunanuvola's Blog

Il blog di Maria G. Di Rienzo

Feeds:
Articoli
Commenti
« Leonora e la foresta
Danzando si riempiono i granai »

Il Principe nella torre d’avorio

10 aprile 2010 di lunanuvola

Fiaba di Rosemary Lake (autrice contemporanea, testo basato su un vecchio motivo scandinavo), trad. Maria G. Di Rienzo

 

 

C’era una volta una Principessa che era amata da tutto il regno, ed in particolare dal Re suo padre. Non le avrebbe mai negato nulla, e ascoltava i suoi pareri e le sue idee quando doveva comporre i conflitti tra i suoi sudditi. Ma quando la peste colpì il reame, ed il Re e la Regina morirono anzitempo, lo zio della Principessa si diede ad amministrare le terre. Sebbene dicesse di onorarla quale erede al trono, lo zio, che aveva usurpato il titolo di Re, non la ascoltava per nulla ed emanò parecchie nuove leggi dure e malvagie, e per questo la Principessa Giovanna era molto afflitta. Lo zio riesumò persino la caccia come divertimento, anche se il padre della Principessa l’aveva bandita molto tempo prima.

Un giorno alcuni nobili stranieri vennero in visita, ed il falso Re ordinò di organizzare una caccia per loro. Il guardaboschi a servizio del Re dovette obbedire, ma mandò i suoi uomini in giro per tutta la foresta ad avvisare gli animali affinché stessero lontani dal pericolo. Perciò gli animali si nascosero, e per tutta la mattina i nobili a cavallo andarono su e giù per colline e valli, e mandarono i loro falchi a girare a vuoto in cielo, senza alcun risultato. I nobili cominciarono a ridere del Re, il quale si incolleriva sempre di più. In quella, attraversò il prato di fronte a loro un piccolo ometto dei boschi, peloso e grande quanto uno gnomo: “Qual è il tuo problema, falso Re?”, ridacchiò, “Non trovi nulla da cacciare?”

“Ecco che ho trovato qualcosa!”, rispose il Re, “Acchiappate questo nanetto, presto!” Tutti i cacciatori si precipitarono ad inseguire l’ometto dei boschi. Il piccolino correva velocissimo, si infilava tra i cespugli, e sotto le radici, ma alla fine fu stanato e catturato, e portato al palazzo. Il Re lo fece mettere in una gabbia che appese in giardino, dove i nobili ed i cortigiani andavano a vederlo e dicevano: “E adesso che ce ne facciamo di lui?” “Potreste fargli cucire degli abiti, per cominciare.”, scherzava il Buffone di corte, perché l’ometto era coperto solo dal proprio pelo.

Gnomi, Nani, e le altre creature piccole del regno vennero a sapere della cosa e ne furono molto seccate. Spuntavano da ogni angolo attorno al palazzo e strillavano:

“Liberatelo!” “Non avete il diritto di tenerlo in gabbia perché è diverso da voi!” “Metterete in gabbia anche noi, fra un po’?”

Il Re si arrabbiò moltissimo. Serrò la porta della gabbia con una speciale fune reale e vi pose il suo sigillo in cera, e subito dopo emanò una legge che puniva chiunque protestasse per la caccia o la prigionia degli animali. “Non sarà fatta alcuna eccezione.”, proclamò, “E la pena è la morte!”

L’ometto se ne stava seduto in gabbia e non diceva nulla.

Ora, in quei giorni la Principessa Giovanna se ne era andata da sola in un bosco un po’ lontano, in cui cercava canne da tagliare con il suo coltello d’argento per fare una serie di flauti. Tornò una sera tardi e se ne andò subito a letto, e nessuno osò raccontarle della crudeltà di suo zio. Il giorno dopo uno strano canto la svegliò poco prima dell’alba. Era l’ometto prigioniero che cantava, ma la sua gabbia era nascosta alla vista della Principessa dal pergolato di alte magnolie. La giovane uscì sulla terrazza e aspettò il sorgere del sole, giocando con una mela dorata che lanciava da una mano all’altra. Dopo qualche minuto perse una presa, e la mela rotolò giù lungo gli scalini d’alabastro, e finì diritta nella gabbia. L’ometto la lanciò oltre il pergolato, e la Principessa la riprese. “Ecco un gioco simpatico.”, pensò lei, “Fra un momento qualcuno si profonderà in complimenti.”, e gettò di nuovo la mela, pensando che dall’altra parte vi fosse uno dei giovani nobili di corte che voleva essere galante con lei. Ma di nuovo la mela tornò indietro. La cosa si ripeté altre due volte, ma ogni volta l’ometto prigioniero la tratteneva per qualche momento in più prima di lanciarla. L’ultima volta non la gettò. Giovanna si incuriosì e andò oltre il pergolato, e là vide il poveretto in gabbia, che reggeva la mela con le sue manine pelose.

“Be’,” disse la Principessa, “Non sei esattamente l’uomo dei miei sogni. Ma chi sei, e perché sei in prigione?”

“Per divertire il Re.”, lui rispose, ed erano le prime parole che pronunciava da quando era stato catturato. Come ebbe raccontato alla Principessa tutta la storia, lei impugnò il coltello d’argento e tagliò il sigillo reale e la superba corda scarlatta, perché in fondo erano solo cera e spago, e spalancò la porticina.

“Devo ordinare un carro per farti riportare a casa?”, chiese all’ometto.

“No, Principessa, perché ogni foresta è casa mia. Ma forse, per la tua salvezza, faresti bene a venire con me.” E le disse della nuova legge del Re.

Gli occhi della Principessa fiammeggiarono: “Un giorno sarò onorata di accettare il tuo gentile invito. Ma oggi devo restare qui e parlare con il Re.” In quella giunsero i giardinieri del palazzo con forbici e attrezzi e l’ometto sgaiattolò via. “Santo cielo, Principessa, cosa avete fatto?”, disse il capo dei giardinieri, allarmato, agitando la sua accetta. “Oh, grazie.”, replicò la Principessa togliendogliela di mano e si diede ad abbatterla sulla gabbia.

“Ma il Re ha detto…” CRASH! “State infrangendo la legge…” CRASH! “Perché fate questo?”

“Perché la voglio in pezzi.”, disse Giovanna, e i giardinieri se ne andarono tutti scuotendo la testa.

Quando la gabbia fu ridotta in frammenti, la Principessa si fece una nuotata nella piscina di marmo, per raffreddare la sua rabbia, poi tornò nelle sue stanze, si vestì con l’abito migliore, indossò la coroncina stellata che era appartenuta a sua madre e andò a fare una buona colazione.

Quando il Re si destò e scoprì che la gabbia era stata frantumata e il prigioniero era fuggito, andò su tutte le furie e convocò l’assemblea del regno per giudicare il misfatto. La grande sala era stipata di gente, e la Principessa sedeva in prima fila.

“Chi ha osato farlo?”, tuonava il Re, “Chi ha infranto la mia nuova legge? Lo scoprirò, e chiunque sia gli farò tagliare la testa!”

La Principessa si alzò in piedi e disse con voce forte e chiara: “Sono stata io, con l’accetta del capo dei giardinieri.”

Il Re rimase di stucco: “Tu? Be’, allora…” La prudenza gli suggeriva che non poteva far del male a chi aveva davvero diritto al trono, di fronte a tanta gente. “Ecco, in questo caso garantirò un perdono speciale…”

“Sarebbe assai ingiusto.”, replicò Giovanna, “Se preferisci abolire la tua pessima nuova legge e queste pratiche abominevoli, mi andrà bene. Ma in caso contrario…” Fu interrotta da una valanga di applausi: gli gnomi facevano più chiasso di tutti.

“Silenzio! Ordine!”, urlava il Re “Non permetto a nessuno di dirmi quel che devo fare. Non cancellerò la mia legge.”

“Se non la cancelli, allora lascia che essa cancelli me.”, disse la Principessa coraggiosamente.

Il Re perse il lume della ragione: “E sta bene! Guardie! Portatela nel profondo della foresta, uccidetela, e riportatemi la sua testa!”

La folla piombò nel silenzio. Tutti avevano paura di parlare. La Principessa divenne pallida, ma non si sarebbe mai rimangiata quel che aveva detto. E le guardie eseguirono gli ordini. Ma non appena furono nei boschi cominciarono a litigare. Nessuno di loro voleva uccidere la Principessa, pure temevano che se non lo avessero fatto sarebbero stati loro a perdere la vita. Giovanna non diceva nulla. Aveva ripiegato la coroncina e se l’era messa in tasca, e aspettava l’occasione buona per tentare di fuggire.

Presto giunsero nei pressi di un fiume impetuoso, dove un vecchio barcaiolo aspettava di traghettarli dall’altra parte. Egli s’inchinò alla Principessa, scese dalla barca e le offrì la mano affinché salisse. Le guardie ristettero, alle spalle di Giovanna, perché si vergognavano di far sapere che lei era la loro prigioniera. Come un fulmine la giovane saltò a bordo, afferrò gli ormeggi e li gettò in acqua, e lasciò il barcaiolo e le guardie sulla riva a saltare ed urlare come fossero impazziti.

Per molte ore e molte miglia l’imbarcazione fu trascinata dalla corrente. Giovanna si addormentò. Quando si svegliò il mattino dopo vide che la barca si era arenata senza danni su una spiaggia di sabbia, in un luogo bello e strano, che lei non conosceva. In distanza si vedeva un castello color di rosa scintillare al sole. La fanciulla andò in quella direzione, raccogliendo noci e bacche per colazione lungo il percorso.

Più si addentrava in quel paese, più Giovanna era meravigliata dalla sua bellezza. Le oche nei prati erano più bianche e pulite dei migliori cavalli di suo padre. Le casette e gli orti avevano più ordine e più grazia dei giardini del suo palazzo. E quasi di continuo, si poteva udire qua e là una musica dolce e rarefatta, che suscitò in Giovanna il fortissimo desiderio di conoscere quella canzone e di dove essa veniva.

“Fino a che non raggiungo l’età per salire al trono,” rifletteva intanto, “è inutile che tenti di oppormi a mio zio. Mi travestirò e vivrò nascosta in questo luogo, fra il suono della musica, sino a che non sarò diventata più forte e più saggia.” Quando incontrò una ragazza guardiana di oche scambiò con lei i propri abiti, poi acquistò un po’ di oche e andò a vivere in una capanna piccola quanto carina, su una bella collina verde.

Ora dobbiamo lasciare Giovanna per un po’ per andare al castello di questo strano e incantevole paese. Qui vivevano il Re ed il Principe suo figlio, che era in parte di sangue elfico, l’eredità lasciatagli dalla sua mamma scomparsa. Il Principe portava con sé questo tipo di magia: fino a che poteva udire la sua musica, le dolci melodie degli elfi che lui suonava sul suo flauto d’argento, la gente era così felice da tenere le terre alla perfezione e da non dare nessun problema ne’ a lui ne’ a sua padre. Perciò il Principe si era trasferito in un’alta torre bianca, su cui crescevano gelsomini rampicanti, dove stava notte e giorno, suonava il suo flauto e si rifiutava di avere a che fare con qualsiasi affare di stato.

Questa scelta seccava non poco suo padre il Re, in particolar modo perché sembrava funzionare alla perfezione, ed il loro regno era il più pacifico che ci fosse mai stato al mondo. “Almeno,” disse un giorno il Re a suo figlio, “dovresti sposarti, perché per la legge del popolo di tua madre solo una donna può sedere sul trono e governare la terra.”

“Sì, forse, un giorno lo farò.”, rispose il Principe, che si chiamava Antonio. Poi chiamò gli amici più cari e gli gnomi musicisti più abili nella torre, e fece chiudere le porte in faccia al Re.

Questo fece arrabbiare suo padre ancora di più. Il Re chiamò le sue guardie e fece mettere la Torre d’Avorio sotto assedio. Ma il Principe ed i suoi amici conoscevano alcuni incantesimi, ed erano in grado di procurarsi cibo e bevande e molte altre cose in quel modo. Perciò, per lungo tempo il Principe visse felice nella sua torre suonando il flauto, e mentre il paese diventava sempre più bello e piacevole, il Re diventava sempre più furibondo.

Infine, perse completamente la pazienza. Su avviso dei propri consiglieri fece costruire un grande ponte che arrivava alla finestra più alta della torre. Quando fu terminato, annunciò che tutte le ragazze del paese dovessero attraversarlo e presentarsi al Principe, il quale avrebbe dovuto scegliere fra di loro la propria sposa.

“Cosa facciamo adesso?”, chiese il Principe ai suoi ospiti, “Non mi sembra un modo onorevole di sposarsi.”

Il più anziano degli gnomi disse: “Non abbiamo incantesimi a sufficienza per far svanire il ponte, però possiamo farlo diventare di vetro, di un vetro così scivoloso che nessuno possa camminarvi sopra. In questo modo dovrebbero lasciarci in pace.” E fu esattamente quel che fecero.

Il giorno in cui le fanciulle del regno si assieparono all’imboccatura del ponte (eccetto Giovanna, che trovava tutto molto stupido e aveva preferito starsene a casa) nessuna riuscì a fare su di esso più di pochi passi. Alla fine erano tutte scivolate indietro.

Di nuovo, il Re riunì il suo Consiglio e fu deciso che l’offerta sarebbe stata ripetuta allargandola anche a paesi stranieri, le cui ragazze più nobili e facoltose, che possedevano cavalcature, dovevano tentare la prova salendo sul ponte a cavallo di destrieri riccamente bardati. Mercanti e nobili si diedero da fare, a quest’annuncio, e nel giorno fissato si vide una gran processione di cavallerizze splendidamente vestite, in groppa a cavalli i cui finimenti preziosi sfidavano ogni descrizione.

Giovanna guardava i preparativi dalla sua collina solitaria. Cominciò a provare un po’ di nostalgia per i tempi in cui anche lei cavalcava. “Se fossi ancora la Principessa che ero,” pensava, “sicuramente riuscirei a salvare quel ragazzo. Arriverei alla finestra della torre, e poi lo libererei da questo matrimonio imposto.” Il pensiero che qualcuno fosse costretto a sposarsi la intristì tanto che si mise a piangere. In quella, accanto a lei apparve l’omino dei boschi, quello che Giovanna aveva aiutato. “Perché piangi?”, le domandò.

“Per un mucchio di cose.”, singhiozzò la giovane, “I miei genitori sono morti, il mio regno è perduto per me, sono una guardiana di oche, ed ora perderò anche la musica del Principe, perché se sarà costretto a sposarsi non suonerà più dalla torre.”

“Be’, è tutto qui, allora.”, rispose l’ometto, “Adesso non vorresti visitare la mia casa, come avevi promesso?”

Giovanna si scosse e acconsentì. Lui la guidò molto addentro nella foresta, fino ad una caverna semi sepolta da foglie cadute e scura terra fragrante. All’interno vi era una stanza piena di vestiti ricamati, fatti di stoffe finissime, e di tutto quel che poteva servire a bardare un cavallo, nello stesso stile. “Scegli quel che vuoi.”, disse l’omino selvaggio a Giovanna.

Poiché tutto le sembrava egualmente bello, la Principessa scelse gli abiti e i finimenti più comodi, e stivali morbidi senza speroni. Il suo anfitrione a questo punto le aprì un’altra stanza, che era in realtà un’enorme pulitissima stalla, dove stavano in fila decine e decine di cavalli magnifici.

“Scegli quel che vuoi.”, disse ancora il piccoletto.

Giovanna andò su e giù accarezzandoli tutti, e infine scelse una giumenta perché le ricordava quella che aveva avuto a casa: la sellò, montò in groppa, e si diresse al ponte di vetro. Quando vi giunse era quasi il tramonto, e tutte le ragazze avevano gettato la spugna, perché nessuno dei loro cavalli era stato in grado di attraversare il ponte. Giovanna tentò la sorte, e per circa un terzo del percorso la bella giumenta roana ce la fece, ma poi cominciò a scivolare. Temendo che si ferisse, la Principessa la fece voltare immediatamente, ed insieme tornarono alla caverna dell’omino dei boschi.

Giovanna esaminò di nuovo i cavalli, ma dovette ammettere che erano tutti troppo pesanti per farcela. Alla fine della fila, notò che si apriva una seconda grotta, più piccola, che scintillava come cristallo. Qui stava un Unicorno, che voltò la testa al suo arrivo: “Posso avere l’onore di portarti?”, le chiese gentilmente, “Sappi però che non sopporto ne’ selle ne’ briglie.”

 

“L’onore sarà mio.”, replicò la fanciulla con garbo.

Arrivarono di nuovo nel momento in cui il sole stava per tramontare, e nessuna delle cavallerizze era riuscita a salire sul ponte neppure quel giorno. L’Unicorno con Giovanna in groppa galoppò sicuro sin dall’imboccatura, e non scivolò una volta, e arrivò diritto in cima alla finestra, da cui si sporgeva un Principe assai meravigliato. Giovanna trasse di tasca uno dei propri flauti di canna e lo sventolò davanti a lui: “Questo non è certo il modo di sposarsi.”, gli disse ridendo, “Ma che ne diresti invece di suonare un duetto?”

Antonio abbozzò un sorriso e disse qualcosa ai suoi amici. Una nuvola magica inglobò i due giovani e l’Unicorno, escludendo tutti gli altri. Mentre l’Unicorno stava in mezzo a loro a masticar gelsomini rampicanti, Giovanna e il Principe sedettero e suonarono insieme come se al mondo non esistesse altro che la loro musica. A un certo punto Antonio chiese di scambiarsi gli strumenti, ma in quel modo tutti e due produssero melodie talmente buffe che cominciarono a ridere e non riuscirono più a far altro. CRACK! La nube magica si incrinò in quel momento, e l’Unicorno cominciò a scivolare all’indietro. La Principessa gli saltò in groppa giusto in tempo. E con un nitrito di trionfo, l’Unicorno galoppò fieramente giù dal ponte, mentre Giovanna teneva alto il flauto d’argento e insieme svanirono velocissimi nella foresta.

Ma la folla aveva visto tutto, e cominciò ad esultare. La gente gridava, e fischiava, e soffiava nelle trombe e batteva tamburi, e il Re dovette proclamare che la sconosciuta fanciulla che cavalcava l’Unicorno aveva vinto la gara. Intanto la Principessa e l’Unicorno erano giunti ad una limpida polla d’acqua nel bosco, dove si fermarono per bere e riposare. Entrambi, però, non sapevano che la sorgente era magica e quando Giovanna ebbe bevuto cadde addormentata, e tale sarebbe rimasta per qualche tempo. L’Unicorno era immune alla magia, essendo una creatura magica egli stesso: la lasciò riposare e se ne andò tranquillo a brucare fiori per i boschi. Il Re e la folla si erano accampati attorno al ponte in attesa del ritorno di Giovanna, ma aspettavano e aspettavano, e lei non si vedeva. Il Principe stesso scese dalla torre e andò vagando per la foresta con il suo seguito, a piedi e cavallo, per tre giorni, ma non trovò segno della fanciulla. A questo punto il Re prese a spazientirsi, e i padri delle altre ragazze a lamentarsi. Quando la sera del terzo giorno il Principe Antonio tornò senza di lei, i soldati lo arrestarono su ordine del Re, il quale proclamò che vi sarebbe stata un’assemblea nella piazza della città, a cui avrebbe partecipato ogni ragazza che lo avesse voluto, ed il Principe sarebbe stato obbligato a scegliere una di loro.

Mentre l’assemblea si stava svolgendo, l’omino selvaggio trovò finalmente Giovanna, la svegliò, e le raccontò cosa stava succedendo. L’Unicorno non era in vista, così la Principessa corse via com’era, avvolta nel mantello che nascondeva i suoi begli abiti da cavallerizza. Arrivò alla piazza proprio quando il Principe aveva ormai terminato la sua ricerca di lei tra la folla, non l’aveva trovata, e se ne stava titubante là in mezzo, chiedendosi cosa avrebbe fatto ora. Per quanto tentasse, Giovanna non riuscì a raggiungerlo in mezzo a tutta quella gente, ne’ ad alzare la voce a sufficienza sopra il loro clamore. Allora, restandosene ai margini, e nascondendo il flauto d’argento sotto il cappuccio, la giovane cominciò a suonare la canzone del duetto.

Il Principe udì la melodia che attraversava la piazza. Sorrise, e disse al corrucciato Re: “Solo un momento, sire.” Seguendo il suono, Antonio arrivò diritto da Giovanna, con la folla che si apriva davanti a lui, e cadde su un ginocchio davanti a lei, dicendo: “Posso offrirti la restituzione del tuo flauto di canna, e la mano che lo regge, ed insieme il trono del mio regno?”

La Principessa mostrò il flauto d’argento affinché tutti potessero vederlo. “Accetto.”, rispose a voce molto alta per farsi sentire dalla folla, “Tuttavia, vorrei che la mia incoronazione precedesse il matrimonio.” Mentre la folla acclamava, Giovanna si chinò sul Principe e gli sussurrò all’orecchio: “Poi tu sarai libero. Non sarai costretto a sposarmi.” “Come?”, balbettò il giovane.

“Una volta preso il trono,” lo rassicurò la Principessa, “insieme potremo cambiare le leggi che causano sofferenza.”

“Un momento, un momento!”, urlò il Re, “Questa fanciulla non può salire al trono prima di sposarsi. Lo potrebbe se fosse una nobildonna, ma tale diventerà solo dopo aver sposato mio figlio.”

Giovanna gettò via il suo vecchio mantello, e si mostrò nelle vesti dorate, indossando la coroncina stellata di sua madre, e disse chi era. Tutta la piazza si inchinò a lei in silenzio e il Re non ebbe più nulla da dire. L’incoronazione si tenne il giorno dopo e fu splendida, e tutto il regno la festeggiò per un mese intero. Il vecchio Re si ritirò in campagna e lasciò il castello a Giovanna, ed Antonio poté tornarsene nella sua torre a suonare il flauto. Ogni sera, però, lui e Giovanna se ne andavano da soli nella foresta, per suonare in privato i loro duetti.

La Regina Giovanna, perché ormai tale era, mandò a chiedere a suo zio cosa volesse fare rispetto al trono che spettava a lei, e quello, quando si rese conto che la nipote comandava un vasto regno, e aveva un grandissimo potere, rese la corona, e con gran gioia di tutti i cittadini Giovanna riebbe ciò che era suo.

In ambo i paesi si conferirono premi ed onorificenze all’omino selvaggio, ma lui non si fece mai più vivo. Giovanna e Antonio pensarono quindi che doveva essere felice così e non cercarono di disturbarlo. Entrambi i paesi prosperarono, e l’amore fra Giovanna e il Principe mezzo-elfo nacque e crebbe, e fu sempre più forte giorno dopo giorno. In effetti, non ebbero neppure bisogno di sposarsi per vivere, da allora in poi, sempre insieme felici e contenti.

Share this:

  • Facebook
  • Twitter
  • Stampa

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

Correlati

Pubblicato su Fiabe | Contrassegnato da tag bambini, diritti degli animali, donne, femminismo, rosemary lake |

  • Il mio nuovo romanzo

  • DISCLAIMER – SIATE CREATIVI!

    I testi presenti in questo spazio possono essere riprodotti, ripostati, citati a vs. piacimento (the web is free, long live the web). Le cose che NON potete fare sono: Omettere il nome dell'autrice/traduttrice e far passare i pezzi per vostri (è già stato fatto); Omettere il nome dell'autrice/traduttrice, far passare i pezzi per vostri e tenerci una rubrica su un giornale (è già stato fatto); Omettere il nome dell'autrice/traduttrice, far passare i pezzi per vostri e pubblicare un libro (è già stato fatto); Omettere il nome dell'autrice/traduttrice, far passare i pezzi per vostri e quando ve ne chiedo ragione cascare dalle nuvole (è già stato fatto). NON SIATE COSI' MISERABILI, USATE IL CERVELLO, IL CUORE, QUEL CHE AVETE E INVENTATE QUALCOSA DI VOSTRO E DI NUOVO!
  • Categorie

    • Arte (232)
    • Caramelle per gli occhi (91)
    • Fiabe (37)
    • La femme-nist fatale (1.947)
    • Mondopoli (giochiamo a) (1.304)
    • Musica (98)
    • Poesia (382)
    • Recensioni (80)
    • Teatro (48)
    • Umorismo (199)
    • Uncategorized (1)
  • Amiche

    • http://cartesensibili.wordpress.com
    • http://ilricciocornoschiattoso.wordpress.com/
    • http://lazitellafelice.wordpress.com/
    • http://ragionandoci.wordpress.com/
  • Blogroll

    • WordPress.com
    • WordPress.org
  • Ma dove li vedi gli sceneggiati coreani, cinesi, giapponesi, eccetera?

    • http://dramafire.info/
  • Per finire è vero, mi piacciono i giochi online di Mateusz Skutnik

    • http://www.mateuszskutnik.com/
  • Articoli più letti di recente

    • Donne come te annegano oceani
    • Hwang Jin Yi
    • Saimdang: my international post
    • Il ritorno di "Bidam"
    • La verità sugli alberi
    • La principessa e gli indovinelli
    • Contra Spem Spero
    • La ghiandaia azzurra
    • Se siedi con la speranza
  • Follow Lunanuvola's Blog on WordPress.com

Blog su WordPress.com.

WPThemes.


Privacy e cookie: Questo sito utilizza cookie. Continuando a utilizzare questo sito web, si accetta l’utilizzo dei cookie.
Per ulteriori informazioni, anche sul controllo dei cookie, leggi qui: Informativa sui cookie
  • Segui Siti che segui
    • Lunanuvola's Blog
    • Segui assieme ad altri 1.022 follower
    • Hai già un account WordPress.com? Accedi ora.
    • Lunanuvola's Blog
    • Personalizza
    • Segui Siti che segui
    • Registrati
    • Accedi
    • Copia shortlink
    • Segnala questo contenuto
    • View post in Reader
    • Gestisci gli abbonamenti
    • Riduci la barra
 

Caricamento commenti...
 

    %d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: